“Dentro di me il tuo nome”

di Antonietta Gnerre

In occasione del centenario della nascita di Giovanni Paolo II ho ripreso a leggere le sue bellissime poesie. Opere che giustificano appieno la sua santità e il suo immenso cammino da Pontefice. Perché nel Papa-poeta (artista, filosofo e teologo) è rinchiusa una sintesi estremamente ricca e vitale di tutta la sua esistenza terrena. Il timbro indelebile di una personalità eccelsa. Dunque è estremamente importante – per comprendere l’uomo Wojtyla e il suo fecondo magistero papale – rileggere la sua  produzione letteraria. Un percorso poetico caratterizzato da un prima e un dopo. Una prima parte datata 1938-39, mentre le ultime sono state pubblicate nel 2003. L’ Opera completa di Karol Wojtyla, Libreria Editrice Vaticana, è a cura di Santino Spartà “Questo saggio raccoglie tutta la produzione poetica di Karol Wojtyla, pubblicata dal 1939 al 1978 da varie riviste polacche con diversi pseudonimi. Nella raccolta è compreso inoltre Il Trittico Romano, da egli composto quando era già stato eletto Papa, e pubblicato dalla LEV nel 2003”. E ciò che accomuna questi versi tra loro, che spaziano come dicevamo in tempi lontanissimi di anni, è la forza della fede e della preghiera. La poesia per la madre, la prima scritta di cui si ha conoscenza, è una preghiera che racchiude un dolore incommensurabile. “Sulla tua bianca tomba/sbocciano i fiori bianchi della vita./Oh quanti anni sono già spariti/senza di te – quanti anni?/Sulla tua bianca tomba/ormai chiusa da anni/qualcosa sembra sollevarsi/ inesplicabile come la morte”.

La parola poetica, dunque, è il filo che lega l’uomo Wojtyla a Dio: “Penetra, cerca, non cedere,/ Se vuoi trovare la sorgente,/ devi proseguire in su, controcorrente”, si legge in un passo del “Trittico romano” (l’unica opera scritta durante il Pontificato e pubblicata due anni prima della morte). L’amore è la parola d’ordine che, accostata magistralmente ad altre realtà umane, diventa cammino spirituale dell’uomo in Gesù Cristo. Il poeta Wojtyla parla dell’amore e del suo rapporto con la verità, in definitiva con Dio. Una poesia che respira della sua storia di vita: i lutti della sua giovinezza, la guerra, la dittatura comunista. In alcuni passaggi egli contempla, in maniera quasi estatica, gli affreschi della Cappella Sistina “Proprio nel centro della Sistina, l’artista ha mostrato l’invisibile Fine/ nel visibile dramma del Giudizio – / E questa invisibile fine è divenuta visibile,/ come l’apogeo della trasparenza:/ omnia nuda et aperta ante oculos Eius!”(Trittico Romano).

Sul piano strettamente letterario, l’opera di San Giovanni Paolo II è caratterizzata da un controcanto che si basa su quattro elementi fondamentali: la persona, la sofferenza, la morte e l’amore. Un dettato, arricchito di elementi esistenziali, che annuncia una luce infinita. E qui emerge il suo essere contemporaneamente filosofo, teologo e poeta. In questa direzione, tra poesia e magistero, risiede la radice del legame tra l’umano e il divino. Cristo infatti svela all’uomo la verità sulla sua stessa natura: “Uomo nel quale ogni uomo può ritrovare l’intento profondo/ E la radice delle sue azioni: specchio di vita e di morte, fisso all’umana corrente./ Uomo – a te sempre giungo – seguendo il magro fiume della storia,/ andando incontro ad ogni cuore, incontro ad ogni pensiero./ Cerco per tutta la storia il Tuo Corpo,/ cerco la tua profondità” (da Veglia Pasquale 1966). Di notevole importanza appare, come un filo invisibile che ricuce il passato e il presente, il poemetto “La cava di pietra”, intessuto dalla forza comunicativa ed evocativa del ricordo dell’esperienza di operaio durante la guerra.

Nel suo insieme e nella sua consistenza evocativa anche la poesia Torrente (Da Trittico Romano) racchiude una metafora della ricerca di Dio che ha caratterizzato l’intera sua vita: “Seno di bosco discende/ al ritmo di montuose fiumare…/Se vuoi trovare la sorgente,/devi proseguire in su, controcorrente./Penetra, cerca, non cedere,/ tu lo sai, dovrebbe essere qui, da qualche parte”.
Rileggendo l’opera letteraria di Karol Wojtyla, si ha come l’impressione che davanti alla sua anima ogni cosa appaia “aperta e nuda”, cioè nella sua intima essenza e verità come l’ultima opera letteraria scritta prima del conclave dell’ottobre 1978. Non possiamo non restare impressionati da alcuni versi: “Voglio descrivere la Chiesa – / la mia Chiesa legata alla mia terra”. Quasi un addio alla propria amatissima nazione polacca e un presagio della prossima elezione al soglio pontificio.

In definitiva il papa poeta non ha mai usato la sua attività letteraria come un passatempo, ma come uno strumento per riflettere ed esprimere le sue convinzioni teologiche, base di partenza per tante innovazioni di carattere pastorale.